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XXIX.

Disse: e ai detti seguì breve bisbiglio; Ma sorse poscia il solitario Piero, Che privato fra' principi a consiglio Sedea, del gran passaggio autor primiero. Ciò ch' eserta Goffredo, ed io consiglio: Nè loco a dubbio v'ha, sì certo è il vero, E per se noto: ei dimostrollo a lungo, Voi l'approvate, io questo sol v'aggiungo. XXX.

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Se ben raccolgo le discordie e l'onte
Quasi a prova da voi fatte e patite,
I ritrosi pareri, e le non pronte
E in mezzo a l' eseguire opre impedite;
Reco ad un' alta originaria fonte

La cagion d'ogni indugio e d'ogni lite:
A quell' autorità, che in molti e vari
D'opinion quasi librata è pari.

XXXI.

Ove un sol non impera, onde i giudici Pendano poi de' premj e de le pene, Onde sian compartite opre ed uffici, Ivi errante il governo esser conviene. Deh fate un corpo sol di membri amici, Fate un capo che gli altri indrizzi e frene: Date ad un sol lo scettro e la possanza, E sostenga di re vece e sembianza.

XXXII.

Qui tacque il veglio. Or quai pensier', quai pečti Son chiusi a te, sant'aura, e divo ardore? Inspiri tu de l'eremita i detti,

E tu gl'imprimi ai cavalier' nel core:
Sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti
Di sovrastar, di libertà, d'onore ;

Sì che Guglielmo e Guelfo i più sublimi
Chiamar' Goffredo per lor duce i primi.
XXXIII.

L' approvar' gli altri. Esser sue parti denne Deliberare e comandar altrui.

Imponga ai vinti legge egli a suo senno:
Porti la guerra, e quando vuole, e a cui
Gli altri, già pari, ubbidienti al cenno
Siano or ministri de gl' imperi sui.
Concluso ciò fama ne vola, e grande
Per le lingue de gli uomini si spande.

XXXIV.

Ei si mostra ai soldati; e ben lor pare
Degno de l'alto grado ove l'an posto.
E riceve i saluti e'l militare

Applauso in volto placido e composto.
Poi ch'a le dimostranze umili e care
D'amor d'ubbidienza ebbe risposto;
Impon che'l di seguente in un gran campo
Tosto si mostri a lui schierato il campo.

XXXV.

Facea ne l'Oriente il sol ritorno
Sereno e luminoso oltre l'usato ;
Quando co' raggi uscì del nuovo giorno
Sotto l'insegne ogni guerriero armato,
E si mostrò quanto potè più adorno
Al pio Buglion girando in largo prato.
S'era egli fermo, e si vedea davanti
Passar distinti i cavalieri e i fanti.

XXXVI.

Mente, de gli anni e de l'oblio nemica, De le cose custode e dispensiera, Vagliami tua ragion sì, ch'io ridica Di quel campo ogni duce ed ogni schiera, Suoni risplenda la lor fama antica, Fatta da gli anni omai tacita e nera: Tolto da' tuoi tesori orni mia lingua Ciò ch' ascolti ogni età, nulla l'estingua.

XXXVII.

Prima i Franchi mostrarsi: il duce loro Ugone esser solea, del re fratello.

Ne l'Isola di Francia eletti foro,
Fra quattro fiumi ampio paese e bello.
Poscia ch' Ugon mori, de' gigli d'oro
Segui l'usata insegna il fier drappello
Sotto Clotareo capitano egregio,

A cui, se nulla manca, è il nome regio.

XXXVIII,

Mille son di gravissima armatura: Sono altrettanti i cavalier' seguenti, Di disciplina ai primi e di natura E d'arme e di sembianza indifferenti, Normandi tutti, e gli ha Roberto in cura, Che principe nativo è de le genti. Poi duo pastor' de' popoli spiegaro Le squadre lor, Guglielmo ed Ademaro.

XXXIX.

L'uno e l'altro di lor, che ne' divini
Ufficj già trattò pio ministero,

Sotto l'elmo premendo i lunghi crini,
Esercita de l'arme or l'uso fero.
Da la città d'Orange e dai confini
Quattrocento guerrier' scelse il primiero ;
Ma guida quei di Poggio in guerra l'altro,
Numero egual, nè men ne l'arme scaltro.
XL.

Baldovin poscia in mostra addur si vede
Co' Bolognesi suoi quei del germano:
Che le sue genti il pio fratel gli cede
Or ch'ei de' capitani è capitano.
Il conte de' Carnuti indi succede,
Potente di consiglio, e pro di mano.
Van con lui quattrocento; e triplicati
Conduce Baldovino in sella armati.

XLI.

Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
Uom ch'a l'alta fortuna agguaglia il merto.
Conta costui per genitor latino

De gli avi Estensi un lungo ordine e certo.
Ma german di cognome e di domino,
Ne la gran casa de' Guelfoni è inserto:
Regge Carintia, e presso l'Istro e'l Reno
Ciò che i prischi Suevi e i Reti aviéno.

XLII.

A questo, che retaggio era materno, Acquisti ei giunse gloriosi e grandi. Quindi gente traea, che prende a scherno D' andar contra la morte ov'ei comandi. Usa a temprar ne' caldi alberghi il verno, E celebrar con lieti inviti i prandi. Fur cinquemila a la partenza, e appena =(De' Persi avanzo) il terzo or qui ne mena. XLIII.

Seguia la gente poi candida e bionda, Che tra i Franchi ei Germani e'l mar si giace, Ove la Mosa ed ove il Reno inonda,

Terra di biade e d'animai ferace.

E gl'isolani lor, che d'alta sponda
Riparo fansi a l'ocean vorace;

L'ocean, che non pur le merci e i legni,
Ma intere inghiotte le cittadi e i regni .

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