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XI.

Ma poichè 'l re crudel vide occultarse Quel che peccato de' Fedeli ei pensa; Tutto in lor d'odio infellonissi, ed arse D'ira e di rabbia immoderata immensa. Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse, (Segua che puote) e sfogar l' alma accensa, Morrà, dicea, non andrà l'ira a voto, Ne la strage comune il ladro ignoto. XII.

Pur che 'l reo non si salvi, il giusto pera
E l'innocente. Ma qual giusto io dico ?
E' colpevol ciascun, nè in loro schiera
Uom fu già mai del nostro nome amico.
S'anima v'è nel novo error sincera,
Basti a novella pena un fallo antico.
Su su, fedeli miei: su via prendete
Le fiamme e'l ferro, ardete ed uccidete.
XIII.

Cosi parla a le turbe: e se n'intese
La fama tra' Fedeli immantinente,
Ch' attoniti restar'; sì gli sorprese
Il timor de la morte omai presente.
E non è chi la fuga o le difese,
Lo scusare o'l pregare ardisca o tente.
Ma le timide genti e irresolute,
Donde meno speraro, ebber salute.

XIV.

Vergine era fra lor di già matura
Verginità, d'alti pensieri e regj,
D'alta beltà; ma sua beltà non cura,
O tanto sol quant' onestà sen fregj.
E''l suo pregio maggior, che tra le mura
D'angusta casa asconde i suoi gran pregj;
E de' vagheggiatori ella s'invola

A le lodi agli sguardi inculta e sola.

XV.

Pur guardia esser non può che 'n tutto celi
Beltà degna ch'appaja, e che s' ammiri ;
Nè tu il consenti, Amor, ma la riveli
D'un giovinetto ai cupidi desiri.

Amor, ch' or cieco or Argo, ora ne veli
Di benda gli occhj, ora ce gli apri e giri;
Tu per mille custodie entro a' più casti
Verginei alberghi il guardo altrui portasti

XVI.

Colei Sofronia, Olindo egli s'appella,
D'una cittade entrambi e d'una fede.
Ei che modesto è si com'essa è bella,
Brama assai, poco spera, e nulla chiede;
Nè sa scoprirsi o non ardisce: ed ella
O lo sprezza o nol vede o non s'avvede.
Così fin ora il misero ha servito
O non visto o mal noto o mal gradito.

XVII.

S'ode l'annunzio intanto, e che s'appresta Miserabile strage al popol loro.

A lei che generosa è quanto onesta,
Viene in pensier come salvar costoro,
Move fortezza il gran pensier, l'arrestą
Poi la vergogna e'l virginal decoro :
Vince fortezza; anzi s'accorda, e face
Se vergognosa, e la vergogna audace.
XVIII.

La vergine tra'l volgo uscì solerta,
Non copri sue bellezze, e non l'espose:
Raccolse gli occhj, andò nel vel ristretta
Con ischive maniere e generose.

Non sai ben dir, s'adorna o se negletta,
Se caso od arte il bel volto compose:
Di natura, d'amor, de' cieli amici
Le negligenze sue sono artifici.

XIX.

Mirata da ciascun passa, e non mira
L'altera donna, e innanzi al re sen viene:
Ne perchè irato il veggia, il piè ritira,
Ma il fiero aspetto intrepida sostiene.
Vengo, signor, gli disse (e intanto l'ira
Prego sospenda, el' tuo popolo affrene >
Vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
Quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso..

XX.

A l'onesta baldanza, a l'improvviso
Folgorar di bellezze altere e sante,
Quasi confuso il re, quasi conquiso
Frenò lo sdegno, e placò il fier sembiante.
S'egli era d'alma, o se costei di viso
Severa manco, ei diveniane amante:
Ma ritrosa beltà ritroso core

Non prende; e sono i vezzi esca d'amore
XXI.

Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto,
S'amor non fu, che mosse il cor villano.
Narra, ei le dice, il tutto. Ecco io commetto
Che non s'offenda il popol tuo cristiano.
Ed ella: il reo si trova al tuo cospetto;
Opra è il furto, signor, di questa mano:
Io l'imagine tolsi: ia son colei

Che tu ricerchi; e me punir tu dei.
XXII.

Così al publico fato il capo altero
Offerse, e'l volse in se sola raccorre.
Magnanima menzogna, or quando è il vero
Si bello, che si possa a te preporre ?
Riman sospeso, e non si tosto il fero
Tiranno a l'ira, come suol, trascorre.
Poi la richiede: io vuo' che tu mi scopra
Chi diè consiglio, e chi fu insieme a l' opra.

XXIII.

Non volsi far de la mia gloria altrui
Neppur minima parte, ella gli dice:
Sol di me stessa io consapevol fui,
Sol consigliera e sola esecutrice.
Dunque in te sola, ripigliò colui,
Caderà l'ira mia vendicatrice.

Disse ella: è giusto: esser à me conviene,
Se fui sola a l'onor, sola a le pene.

XXIV.

Qui comincia il tiranno a tisdegnarsi ; Poi le dimanda: ov' hai l'imago ascosa? Non la nascosi, a lui risponde, io l'arsi; E l'arderla stimai laudabil cosa.

Così almen non potrà più violarsi
Per man de' miscredenti ingiuriosa,
Signore, o chiedi il furto, o 'l ladro chiedi;
Quel non vedrai in eterno, e questo il vedi.

XXV.

Benchè nè furto è il mio, nè ladra io sono; Giusto è ritor ciò ch'a gran torto è tolto. Or questo udendo, in minaccevol suono Freme il tiranno, e'l fren de l'ira è sciolto. Non speri più di ritrovar perdono

Cor pudico, alta mente, o nobil volto:
E indarno Amor contra lo sdegno crudo
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.

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