XVII. Porta si salda la gran lancia, e in guisa Vien feroce e leggiadro il giovanetto; Che veggendolo d'alto il re s' avvisa Che sia guerrier infra gli scelti eletto. Onde dice a colei ch'è seco assisa, E che già sente palpitarsi il petto: Ben conoscer dei tu per si lungo uso Ogni Cristian, benchè ne l'arme chiuso. XVIII. Chi è dunque costui che così bene S'adatta in giostra, e fero in vista è tanto? A quella, in vece di risposta, viene Su le labra un sospir, su gli occhj il pianto. Pur gli spirti e le lagrime ritiene ; Ma non così, che lor non mostri alquanto: Che gli occhj pregni un bel purpureo giro Tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro. XIX. Poi gli dice infingevole, e nasconde Sotto il manto de l'odio altro desio : Oime, bene il conosco, ed ho ben donde Fra mille riconoscerlo deggia io: Che spesso il vidi i campi e le profonde Fosse del sangue empir del popol mio. Ahi quanto è crudo nel ferire! A piaga Ch'ei faccia, erba non giova, od arte maga XX. Egli è il prence Tancredi. Oh prigioniero Clorinda intanto ad incontrar l'assalto Lampeggiar' gli occhj, e folgorar' gli sguardi Dolci ne l'ira: or che sarian nel riso? Tancredi, a che pur pensi, a che pur guardi? Non riconosci tu l'amato viso ? Quest' è pur quel bel volto onde tutt'ardi: Tuo core il dica, ov'è suo esempio inciso: Questa è colei che rinfrescar la fronte Yedesti già nel solitario fonte. XXIII. Ei ch' al cimiero ed al dipinto scudo Non bado prima, or lei veggendo impetra. Ella, quanto può meglio, il capo ignudo Si ricopre, e l'assale; ed ei s'arretra. Va contra gli altri, e ruota il ferro crudo; Ma però da lei pace non impetra, Che minacciosa il segue, e: volgi, grida : E di due morti in un punto lo sfida. XXIV. Percosso il cavalier non ripercote, Nè sì dal ferro a riguardarsi attende, Come a guardar i begli occhj e le gote, Ond' Amor l'arco inevitabil tende. Fra se dicea: van le percosse vote Talor, che la sua destra armata scende; Ma colpo mai del bello ignudo volto Non cade in fallo, e sempre il cor m'è colto. XXV, Risolve alfin, benchè pietà non spere, Di non morir tacendo occulto amante. Vuol ch'ella sappia ch'un prigion suo fere Già inerme e supplichevole e tremante. Onde le dice: o tu, che mostri avere Per nemico me sol fra turbe tante; Usciam di questa mischia, ed in disparte I' potrò teco, e tu meco provarte. XXVI. Così me' si vedrà s' al tuo s' agguaglia Il mio valore. Ella accettò l'invito: E com'esser senz'elmo a lei non caglia, Gìa baldanzosa, ed ei seguia smarrito. Recata s'era in atto di battaglia Già la guerriera, e già l'avea ferito; Quand' egli: or ferma, disse, e siano fatti Anzi la pugna de la pugna i patti. XXVII. Fermossi e lui di pauroso audace Rendè in quel punto il disperato amore. I patti sian, dicea, poi che tu pace Meco non vuoi, che tu mi tragga il core. Il mio cor, non più mio, s'a te dispiace Ch'egli più viva, volontario muore : E tuo gran tempo; e tempo è ben che traile Omai tu debbia, e non debb'io vietarlo. XXVIII. Ecco io chino le braccia, e t'appresento Senza difesa il petto; or che nol fiedi? Vuoi ch' agevoli l'opra? I' son contento Trarmi l'usbergo or or, se nudo il chiedi. Distinguea forse in più duro lamento I suoi dolori il misero Tancredi ; Ma calca l'impedisce intempestiva De' Pagani e de' suoi che soprarriva. XXIX. Cedean cacciati da lo stuol cristiano I Palestini, o sia temenza od arte. Un de' persecutori, uom inumano, Videle sventolar le chiome sparte ; E da tergo in passando alzò la mano Per ferir lei ne la sua ignuda parte ; Ma Tancredi gridò, che se n' accorse, E con la spada a quel gran colpo accorse. XXX. Pur non gì tutto invano: e ne' confini Del bianco collo il bel capo ferille. Fu levissima piaga; e i biondi crini Rosseggiaron così d'alquante stille; Come rosseggia l'or, che di rubini Per man d'illustre artefice sfaville. Ma il prence infuriato allor si spinse Addosso a quel villano, e'l ferro strinse. XXXI. Quel si dilegua: questi acceso d'ira II segue; e van come per l'aria strale. ed ambo mira Ella riman sospesa, Lontani molto, nè seguir le cale; Talor mostra la fronte, e i Franchi assale: |