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XLVII.

Con tutto ciò, sebben d' andar non cessa, Si volge ai Franchi, e grida: o cavalieri, Questa sanguigna spada è quella stessa Che'l signor vostro mi donò pur jeri: Ditegli come in uso oggi l'ho messa: Ch'udirà la novella ei volentieri : E caro esser gli dee che'l suo bel dono Sia conosciuto al paragon si buono.

XLVIII.

Ditegli che vederne omai s'aspetti
Ne le viscere sue più certa prova;
E quando d' assalirne ei non s'affretti,
Verrò non aspettato ov'ei si trova.
Irritati i Cristiani ai feri detti,

Tutti ver lui già si moveano a prova;
Ma con gli altri esso è già corso in sicuro
Sotto la guardia de l'amico muro.

XLIX.

I difensori a grandinar le pietre
Da l'alte mura in guisa incominciaro;
E quasi innumerabili faretre

Tante saette a gli archi ministraro ;

Che forz' è pur che'l franco stuol s'arretre;
Ei Saracin' ne la cittade entraro.

Ma già Rinaldo, avendo il piè sottratto
Al giacente destrier, s'era qui tratto.

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L.

Venia per far nel barbaro omicida De l'estinto Dudone aspra vendetta: E fra' suoi giunto alteramente grida: Or qual indugio è questo? e che s'aspetta? Poi ch'è morto il signor che ne fu guida, Che non corriamo a vendicarlo in fretta ? Dunque in si grave occasion di sdegno Esser può fragil muro a noi ritegno?

LI.

Non, se di ferro doppio o d'adamante Questa muraglia impenetrabil fosse, Colà dentro sicuro il fiero Argante S'appiatteria da le vostr' alte posse. Andiam pure a l'assalto: ed egli innante A tutti gli altri in questo dir si mosse ; Che nulla teme la sicura testa

O di sassi o di strai nembo o tempesta. LII.

Ei crollando il gran capo, alza la faccia Piena di si terribile ardimento,

Che sin dentro a le mura i cori agghiaccia,
Ai difensor' d' insolito spavento.

Mentr' egli altri rincota, altri minaccia,
Sopravvien chi reprime il suo talento:
Che Goffredo lor manda il buon Sigiero
De' gravi imperj suoi nunzio severo.

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LIII.

Questi sgrida in suo nome il troppo ardire; E incontinente il ritornar impone. Tornatene, dicea, ch'a le vostr❜ire Non è il loco opportuno o la stagione. Goffredo il vi comanda. A questo dire Rinaldo se frenò, ch' altrui fu sprone; Benchè dentro ne frema, e in più d'un segno Dimostri fuore il mal celato sdegno.

LIV.

Tornar' le schiere indietro; e dai nemici
Non fu il ritorno lor punto turbato.
Nè in parte alcuna de gli estremi uffici
Il corpo di Dudon restò fraudato.
Su le pietose braccia i fidi amici
Portarlo, caro peso ed onorato.
Mira intanto il Buglion d'eccelsa parte
De la forte cittade il sito e l'arte.

LV.

Gerusalem sovra due colli è posta
D'impari altezza, e volti fronte a fronte.
Va per lo mezzo sue valle interposta,
Che lei distingue, e l'un da l'altro monte
Fuor da tre lati ha malagevol costa :
Per l'altro vassi, e non par che si monte.
Ma d'altissime mura è più difesa

La parte piana, e'ncontra Borea stesa.

LVI.

La città dentro ha lochi in cui si serba
L'acqua che piove, e laghi e`fonti vivi;
Ma fuor la terra intorno è nuda d'erba,
E di fontane sterile e di rivi.

Nè si vede fiorir lieta e superba
D'alberi, e fare schermo ai raggi estivi;
Se non se inquanto oltra sei miglia un bosco
Sorge d'ombre nocenti orrido e fosco.

LVII.

Ha da quel lato donde il giorno appare
Del felice Giordan le nobil' onde:

E da la parte occidental, del mare
Mediterraneo l'arenose sponde.

Verso Borea è Betel, ch'alzò l'altare
Al bue de l'oro, e la Samaria; e donde
Austro portar le suol piovoso nembo,
Betelem, che'l gran parto accolse in grembo.

LVIII.

Or mentre guarda e l'alte mura e'l sito
De la città Goffredo e del paese ;
E pensa ove s' accampi, onde assalito
Sia il muro ostil più facile a l'offese;
Erminia i vide, e dimostrollo a dito
Al re pagano, e così a dir riprese :
Goffredo è quel che nel purpureo ammanto
Ha di regio e di augusto in se cotanto.

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LIX.

Veramente è costui nato a l'impero ; Si del regnar, del comandar sa l'arti; E non minor che duce è cavaliero, Ma del doppio valor tutte ha le parti. Nè fra turba si grande uom più guerriero O più saggio di lui potrei mostrarti. Sol Raimondo in consiglio, ed in battaglia Sol Rinaldo e Tancredi a lui s'agguaglia.

LX.

Rispor de il re pagan: ben ho di lui Contezza, e'l vidi a la gran corte in Francia, Quand' io d'Egitto messaggier vi fui; E'l vidi in nobil giostra oprar la lancia. E sebben gli anni giovinetti sui

Non gli vestian di piume ancor la guancia, Pur dava a'detti a l'opre a le sembianze Presagio omai d'altissime speranze.

LXI.

Presagio ahi troppo vero! E qui le ciglia
Turbate inchina, e poi l'innalza e chiede:
Dimmi chi sia colui ch' ha pur vermiglia
La sopravvesta, e seco a par si vede.
Oh quanto di sembianti a lui simiglia !
Sebbene alquanto di statura cede.

È Baldovin, risponde, e ben si scopre
Nel volto a lui fratel, ma più ne l'opre.

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