LXII. Or rimira colui che quasi in modo D'uom che consigli sta da l'altro fianco: Quegli è Raimondo, il qual tanto ti lodo D'accorgimento, uom già canuto e bianco, Non è chi tesser me' bellico frodo Di lui sapesse, o sia Latino, o Franco. LXIII. v'è Guelfo seco: egli è d'opre leggiadre Emulo, e d'alto sangue, e d'alto stato. Ben il conosco a le sue spade quadre, Ed a quel petto colmo e rilevato. Ma'l gran nemico mio tra queste squadre Già riveder non posso; e pur vi guato: I' dico Boemondo, il micidiale Distruggitor del sangue mio reale. LXIV. Così parlavan questi. E'l capitano, Poi ch'intorno ha mirato, ai suoi discende. E perchè crede che la Terra invano S' oppugneria dove il più erto ascende; Contra la porta aquilonar nel piano Che con lei si congiunge, alza te tende: E quinci procedendo, infra la torre Che chiamano angolar, gli altri fa porre. LXV. Da quel giro del campo è contenuto Impon che sian le tende indi munite Di nobil pompa i fidi amici ornaro 4 LXVIII. Già non si deve a te doglia nè pianto: Che se mori nel mondo, in ciel rinasci; E qui, dove ti spogli mortal manto, Di gloria impresse alte vestigia lasci. Vivesti qual guerrier cristiano e santo, E come tal sei morto: or godi e pasci In Dio gli occhj bramosi, o felice alma, Ed hai del bene oprar corona e palma. LXIX. Vivi beata pur; che nostra sorte, Non tua sventura a lagrimar n'invita; Poscia ch' al tuo partir si degna e forte Parte di noi fa col tuo piè partita. Ma se questa che'l volgo appella morte Privati ha noi d'una terrena aita; Celeste aita ora impetrar ne puoi, Che 'l ciel t'accoglie infra gli eletti suoi. LXX. E come a nostro pro veduto abbiamo Ch'usavi, uom già mortal, l'arme mortali; Così vederti oprare anco speriamo, Spirto divin, l'arme del ciel fatali. Impara i voti omai ch' a te porgiamo Raccorre, e dar soccorso ai nostri mali. Indi vittoria annunzio: a te devoti Solverem trionfando al tempio i voti. LXXI. Così diss' egli e già la notre oscura Sorse a pari col sole, ed egli stesso Composto anno il sepolcro a piè d'un colle Or qui fu posto: e i sacerdoti intanto LXXIII. Quinci e quindi fra i rami erano appese Insegne, e prigioniere arme diverse, Già da lui tolte in più felici imprese A le genti di Siria ed a le perse, De la corazza sua, de l'altro arnese In mezzo il grosso tronco si coperse. Qui (vi fu scritto poi) giace Dudone: Onorate l'altissimo campione. LXXIV. Ma il pietoso Buglion, poichè da questa Opra si tolse dolorosa e pia; Tutti i fabri dal campo a la foresta LXXV. L'un l'altro esorta che le piante atterri, Le sacre palme e i frassini selvaggi, Altri i tassi, e le quercie altri percote, Fine del Canto terzo: |