Dallique Soul. Pera il Campo e ruini e resti in tutto Ogni vestigio Tas.Ger. C4 GERUSALEMME LIBERATA. CANTO QUARTO. I. MEntre fan questi bellici stromenti, Perchè debbiano tosto in uso porse: II. Quinci avendo pur tutto il pensier volto A recar ne' Cristiani ultima doglia; Che sia, comanda, il popol suo raccolto Stolto, ch' al ciel si agguaglia, e in oblio por III. Chiama gli abitator' de l'ombre eterne Il rauco suon de la tartarea tromba. Treman le spaziose atre caverne, E l'aer cieco a quel rumor rimbomba. IV. Tosto gli Dei d'abisso in varie torme Concorron d'ogn'intorno a l'alte porte. Oh come strane, oh come orribil' forme! Quant'è ne gli occhj lor terrore e morte! Stampano alcuni il suol di ferine orme, E'n fronte umana an chiome d'angui attorte E lor s' aggira dietro immensa coda, Che quasi sferza si ripiega e snoda. V. Qui mille immonde arpie vedresti, e mille Centauri e sfingi, e pallide gorgoni: Molte e molte latrar voraci scille, E in novi mostri e non più intesi o visti, VI. D'essi parte a sinistra, e parte a destra A seder vanno al crudo re davante. Siede Pluton nel mezzo, e con la destra Sostien lo scettro ruvido e pesante. Nè tanto scoglio in mar nè rupe alpestra, Nè pur Calpe s'innalza o'l magno Atlante, Ch'anzi lui non paresse un picciol colle: Si la gran fronte e le gran corna estolle. VII. Orrida maestà nel fero aspetto VIII. Qual i fumi sulfurei ed infiammati Escon di Mongibello, e'l puzzo e 'l tuono; Tal de la fera bocca i neri fiatì, Tale il fetore e le faville sono. Mentre ei parlava, Cerbero i latrati Ripresse, e l'idra si fe' muta al suono: Restò Cocito, e ne tremar' gli abissi; E in questi detti il gran rimbombo udissi. IX. Tartarei Numi, di seder più degni Spinse il gran caso in questa ortibil chiostra: Ed in vece del di sereno e puro, XI. Nè ciò gli parve assai; ma in preda a morte Sol per farne più daano il Figlio diede. Ei venne e ruppe le tartaree porte, porre oso ne' regni nostri il piede, È trarne l'alme a noi dovute in sorte, riportarne al ciel sì ricche prede, Vincitor trionfando; e in nostro scherno L'insegue ivi spiegar del vinto inferno. XII. Ma che rinnovo i miei dolor' parlando? Chi non ha già l'ingiurie nostre intese? Ed in qual parte si trovò, nè quando Ch' egli cessasse da l'usate imprese ? Non più dessi a l'antiche andar pensando: Pensar dobbiamo a le presenti offese. Deh non vedete omai com'egli tenti Tutte al suo culto richiamar le genti ? XIII. Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore, Nè degna cura fia che 'l cor n'accenda ? E soffrirem che forza ognor maggiore Il suo popol fedele in Asia prenda? E che Giudea soggioghi, e che'l suo onore, Che'l nome suo più si dilati e stenda? Che suoni in altre lingue, e in altri carmi Si scriva, e incida in novi bronzi e in marmi? |