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XIV.

Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi? Che i nostri altari il mondo a lui converta? Ch'a lui sospesi i voti, a lui sol arsi Siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta? Ch'ove a noi tempio non solea serrarsi, Or via non resti a l'arti nostre aperta? Che di tant' alme il solito tributo Ne manchi, e in voto regno alberghi Pluto!

XV.

Ah non fia ver: che non sono anco estinti Gli spirti in noi di quel valor primiero, Quando di ferro e d'alte fiamme cinti Pugnammo già contra il celeste impero. Fummo, nol nego, in quel conflitto vinti; Pur non mancò virtute al gran pensiero. Ebbero i più felici allor vittoria : Rimase a noi d'invitto ardir la gloria. XVI.

Ma perchè più v'indugio? Itene, o miei Fidi consorti, o mia potenza e forze, Ite veloci, ed opprimete i rei

Prima ch'il lor poter più si rinforze : Pria che tutt' arda il regno de gli Ebrei Questa fiamma crescente omai s'ammorze. Fra lor entrate, e in ultimo lor danno Or la forza s'adopri, ed or l'inganno.

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Sia destin ciò ch' io voglio: altri disperso Sea vada errando: altri rimanga ucciso: Altri in cure d'amor lascive immerso, Idol si faccia un dolce guardo e un riso ; Sia 'l ferro incontro al suo rettor converso Da lo stuol ribellante e 'n se diviso ; Pera il campo e tuini, e resti in tutto = Ogni vestigio suo con lui distrutto.

XVIII.

Non aspettar' già l'alme a Dio rubelle
Che fosser queste voci al fin condotte,
Ma fuor volando a riveder le stelle
Già se n'uscian da la profonda notte,
Come sonanti e torbide procelle
Che vengaa fuor da le natie lor grotte
Ad oscurar il cielo, a portar guerra
Ai gran regni del mar e de la terra.
XIX.

Tosto spiegando in varj lati i vanni,
Si furon questi per lo mondo sparti;
E incominciaro a fabbricar inganni
Diversi e novi, ed ad usar lor arti.
Ma di tu musa, come i primi danni
Mandassero a' Cristiani, e di quai parti:
Tu'l sai; ma di tant' opra a noi si lunge
Debil aura di fama appena giunge.

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XX.

Reggea Damasco e le citrà vicine
Idraote famoso e nobil mago,
Che sin da' suoi prim' anni a l'indovine
Arti si diede, e ne fu ognor più vago.
Ma che giovar', se non potè del fine
Di quell' incerta guerra esser presago?
Ned aspetto di stelle erranti o fisse,
Nè risposta d'inferno il ver predisse.
XXI.

Giudicò questi ( ahi cieca umana mente,
Come giudici tuoi son vani, e torti! )
Che a l'esercito invitto d'Occidente
Apparecchiasse il ciel ruine e morti.
Però credendo che l'egizia gente
La palma de l'impresa alfin riporti,
Desia che'l popol suo ne la vittoria.
Sia de l'acquisto a parte e de la gloria.
XXII.

Ma perchè il valor franco ha in grande stima, Di sanguigna vittoria i danni teme; E va pensando con qual' arte in prima Il poter de' Cristiani in parte sceme, Sì che più agevolmente indi s' opprima Da le sue genti e da l' egizie insieme. In questo suo pensier il sovraggiunge L'angelo iniquo, e più l'instiga e punge.

XXIII.

Esso il consiglia, e gli ministra i modi

Onde l'impresa agevolar si puote.
Donna, a cui di beltà le prime lodi
Concedea l'Oriente, è sua nipote.
Gli accorgimenti e le più occulte frodi
Ch'usi o femmina o maga, a lei son note.
Questa a se chiama, e seco i suoi consigli
Comparte, e vuol che cura ella ne pigli.

XXIV.

1 Dice: o diletta mia, che sotto biondi
Capelli, e fra sì tenere sembianze
Canuto senno e cor virile ascondi,
E già ne l'arti mie me stesso avanze;
Gran pensier volgo; e se tu lui secondi,
Seguiteran gli effetti a le speranze :
Tessi la tela ch'io ti mostro ordita,
Di cauto vecchio esecutrice ardita.

XXV.

Vanne al campo nemico. Ivi s'impieghi
Ogni arte femminil ch'amore alletti.
Bagna di pianto, e fa melati i preghi :
Tronca e confondi co sospiri i detti.
Beltà dolente e miserabil pieghi

Al tuo volere i più ostinati petti.
Vela il soverchio ardir con la vergogna;
E fa manto del vero a la menzogna.

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XXVI.

Prendi, s'esser potrà, Goffredo a l'esca De' dolci sguardi e de' bei detti adorni; Sicch' a l'uomo invaghito omai rincresca L'incominciata guerra, e la distorni. Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca: Menagli in parte ond' alcun mai non torni, Poi distingue i consigli: alfin le dice: Per la fe, per la patria il tutto lice.

XXVII.

La bella Armida di sua forma altera, E de'doni del sesso e de l'etate, L'impresa prende; e in su la prima sera Parte, e tiene sol vie chiuse e celate: E'n treccia e 'n gonna femminile spera Vincer popoli invitti e schiere armate. Ma son del suo partir tra'l volgo ad arte Diverse voci poi diffuse e sparte.

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Dopo non molti dì vien la donzella Dove spiegate i Franchi avean le tende. A l'apparir de la beltà novella

Nasce un bisbiglio, e'l guardo ognun v' intende; Siccome là, dove cometa o stella

Non più vista di giorno in ciel risplende; E traggon tutti per veder chi sia

Si bella peregrina, e chi l'invia.

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