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Lo duca: dunque or dì de gli altri rii:
Conosci tu alcun che sia Latino

Sotto la pece? e quegli: i' mi partii
Poco è da un che fu di là vicino:

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Così foss' io ancor con lui coverto, Ch'i'non temerei unghia nè uncino . E Libicocco: troppo avem sofferto,

Disse e presegli 'l braccio col runciglio, Sì che stracciando ne portò un lacerto. Draghignazzo anch'ei volle dar di piglio Giù da le gambe: onde 'l decurio loro Si volse 'ntorno intorno con mal piglio. Quand' elli un poco rappaciati foro, A lui ch' ancor mirava sua ferita, Dimandò 'I duca mio sanza dimoro: Chi fu colui, da cui mala partita Di che facesti per venire a proda? Ed ei rispose: fu Frate Gomita, Quel di Gallura, vasel d'ogni froda, Ch'ebbe i nimici di suo donno in mano, E fè lor si, che ciascun se ne loda: Denar si to'se, e lasciógli di piano, Sì com'e' dice: e ne gli altri uficj anche Barattier fu non picciol, ma sovrano. Usa con esso donno Michel Zanche Di Logodoro e a dir di Sardigna

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Le lingue lor non si sentono stanche.

O me, vedete l'altro che digrigna:

I' direi anche: ma i'temo ch' ello Non s' apparecchi a grattarmi la tigna. El gran proposto volto a Farfarello Che stralunava gli occhj per ferire, Disse: fatti 'n costà, malvagio uccello. Se voi volete vedere o udire,.

Ricominciò lo spaurato appresso, Toschi o Lombardi, i'ne farò venire. Ma stien le Malebranche un poco in cesso; Si che non teman de le lor vendette, Ed io, seggendo in questo luogo stesso, Per un ch' io so, ne farò venir sette, Quando sufolerò com'è nostr' uso

Di fare, allor che fuori alcun si mette. Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso Crollando 'I capo, e disse: odi malizia Ch'egli ha pensato per gittarsi giuso. Ond'ei ch'avea lacciuoli a gran divizia, Rispose: málizioso son io troppo, Quando procuro a mia maggior tristizia. Alichin non si tenne, e di rintoppo A gli altri disse a lui: se tu ti cali, I' non ti verrò dietro di galoppo, Ma batterò sovra la pece l'ali: Lascisi ' colle, e sia la ripa scudo A veder se tu sol più di noi vali.

K

O tu che leggi, udirai nuovo ludo. Ciascun da l'altra costa gli occhj volse; Quel prima ch'a ciò fare era più crudo. Lo Navarrese ben suo tempo colse,

Fermò le piante a terra, e in un punto Salto, e dal proposto lor si sciolse: Di che ciascun di colpo fu compunto, Ma quei più, che cagion fu del difetto, Però si mosse, e gridò: tu se' giunto. Ma poco valse, che l'ale al sospetto Non potero avanzar: quegli andò sotto, E quei drizzò volando suso il petto: Non altrimenti l'anitra di botto, Quando 'l falcon s' appressa, giù s' attuffa, Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Irato Calcabrina de la buffa,

Volando dietro gli tenne invaghito,
Che quei campasse per aver la zuffa:
E come 'I barattier fu disparito,

Così volse gli artigli al suo compagno,
E fu con lui sovra 'l fosso ghermito.
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno
Ad artigliar ben lui, e amendue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo schermidor subito fue:
Ma però di levarsi era niente,
Si aveano inviscate l'ale sue,

Barbariccia con

Di

gli altri suoi dolente Quattro ne fe volar da l'altra costa Con tutti i raffi, e assai prestamente qua di là discesero a la posta:

Porser gli uncini verso gl' impaniati Ch'eran già cotti dentro da la crosta, E noi lasciammo lor così 'mpacciati.

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Egli avean cappe con cappucci bassi Dinanzi gli occhi fatte dalla taglia Che per li monaci in Cologna fassi.

CANTO VENTESIMOTERZO,

Taciti soli e sanza compagnia

N'andayam l'un dinanzi, e l'altro dopo, Come i frati minor vanno per via. Volto era in su la favola d'Isopo

Lo mio pensier per la presente rissa, Dov' ei parlò de la rana e del topo: Che più non si pareggia mo ed issa, Che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia Principio e fine con la mente fissa:

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