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co i loro scritti illustrarono, e questo così fecondo fuolo pure fu benedetto da quella pianta, che oggi ful Vaticano grandeggia, toccando colla cima le stelle; voglio dire, il Pontefice Ottimo Massimo Innocenzio XII. che sì nel nome, come ne' fatti, va esprimendo il petto Sacerdotale del Glorioso, e Santissimo, e per tutti i secoli memorabile Innocenzio XI. di questo nome; fu, dico, questo Accademico fuolo benedetto, quando era Nunzio in Fiorenza, e nostro Accademico. Confiderate, come non piccola autorità fu quella del nostro Agostino in creare una tale, e sì fatta Accademia, e quel ch'è più, nella sua gioventù. Questa autorità gli aveva conciliata non l'artifizio, non la finezza; ma il suo buon naturale perfezionato dal suo costume placido, manfueto, amorevole, divoto, favio, innamorato della pietà, e delle lettere; conciossiache egli occultò la severità della morale filosofia colla maschera innocente d'una politica piacevolezza ; che può bene stare la disinvoltura delle maniere coll'esatezza del coftume, l'affabilità, ed il tratto, col rigor della vita, l'ilarità colla divozione. Mischiava per tanto il faceto col serio con aggradevole condimento, ed il grazioso col prudente accortamente temperava; non affettando una superba singolarità, per apparire filosofo, non già per essere; e non tirando negli atti, e ne'sembianti, a qualche rigido stoico, o cinico maldicente. La filosofia, che noi per alta grazia del cielo abbiamo imparata da Cristo, era la sua guida, la quale le antiche filosofie ha fatte ceffare, e distrutte in ciò, che vi avea di vano, d'ambizioso, e di falso; ma ciò ch'elle possedevano di buono, dettato dal diritto discorso, e francheggiato dal lume eterno della natura questa nostra Cristiana filosofia, che così comunemente l'appelano i Padri, sanamente, ed a nostro pro riserbando, illumind sollevò, riformd. Di questa filosofia il nostro filosofo fu somma- Pag. 7. mente studioso, ch'è propria nostra, vera, e legittima filosofia, pratica delle vere virtù, scuola del vivere, via all'eterna felicità. Ed in questa quanto egli s'esercitasse e quanto spirituale Atleta s'affaticasse, parlano a bastanza, senza ch'io'ldica, i tanti libri divoti, ch'egli ha composti; ritratti tutti di quell'animo, che tutto fu zelo, tutto carità, tutto pietà. Su questo fondamento di buona, e fincera, e non affettata filosofia, innalzò egli la sua politica, che non all' ingrandimento, ed interesse suo, ma al bene de' prossimi mirò sempre. Con questo unico scopo, nella sua prima età, come s'è detto, ed oltre a ciò intorno a tempi disagevoli, ecalamitosi, cioè dell' anno 1631. quando una mala influenza percossa A iij

Disc. Accad. Tom. II.

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avea la città nostra, egli inventò colla sua autorità, e colla fua condotta, questa bella maniera di ragunare in sua casa un' afsemblea virtuosa; tanto più riguardevole di quella della gran peste del 1348. che a fine di sollazzare, e di novellare si ragund, e questa per cose ferie, e studiose. Ben si può dire, che possedeffe

Penfier canuti in giovenile etate,

chi sprezzando le volgari, e sollazzevoli brigate, d' una seria, ed onorata conversazione fu institutore. E perciocchè alcuni ingannati stimano, le belle lettere essere semplici scherzi, ed ignude amenità, nè tenere in se alcuna cosa di sodo, e di grave; mal avvisando la natura di quelle, e solo riguardando all' abuso, che dagl'idioti e volgari uomini se ne fa; aggiunse all' Accademia l' Università, ed appartato motto all'una, e all'altra pose. E questa Università volle, che fosse a guisa di pubblico studio, nel quale fi leggeffero tutte le professioni, e ciò volendo si potesse fare anche ogni giorno, come a principio facevasi; nelche riuscì maraviglioso politico; perciocchè, ficcome si legge degli Ateniesi, che sul pubblico mercato, ove erano in mostra varie forte di cose, e di mercatanzie, vedevano, ove si gittava questo, e quel Pag. 3. giovane, esplorandone così per accorto e soave modo i genj, le nature, el'inclinazioni, e in quella parte, oveil talento gli spigneva, impiegandogli; così a chiunque si volesse in qualsisia facoltà, o lingua a lui cara, ed utile esercitare, quivi era luogo d' applicarvisi, dando chiaro saggio del suo ingegno, e dell' indole fua bella testimonianza mostrando. La quale Università, all'Accademia con particolari leggi congiunta, e incorporata, ben fece in breve tempo maravigliosi progressi; nè rinserrò dentro questa città solamente la fama fua, ma per ogni dove la stese,

Oltre i confini ancor del mondo noftro,

come il suo nobile motto n'addita. E celebri ingegni oltramontani la frequentarono, mantenendo ella, per così dire, l'onore d'Italia; onde in lode dell'autore di quella le celebrate penne, per non dire d' altri, e di Egidio Menagio, e di Nicolò Einfio s'impiegarono. E perchè a perpetuare le cose, e schifare la fazietà, e il disgusto, conobbe, come nel gran mondo, essere la vicendevolezza attissima; facea ricreare l'Accademia colla varietà de' dubbi, o problemi da solversi settimana per settimana; ed all' austerità della prosa amando di fare sempre seguire la gentilezza delle poefie, e queste non disdegnando, che fussero ora ferie, taJora giocose, esercitava ogni maniera d'ingegno. E per un qualche onesto follievo, e trastullo erudito, ne' tempi carnevaleschi institui il curioso giuoco della Sibilla, la quale porgendo alle varie, e bizzarre questioni propostele da' circostanti, in una sola parola a caso profferita, le risposte, sveglia l'acutezza degl'interpreti a dare follazzevoli, e pronte, e insieme dotte sposizioni. Tutti penfieri, tutte premure, tutte industrie, tutti accorgimenti finissimi del nostro amorevole Padre; che fino gli scherzi volle, che foffero fruttuosi. Le cose grandi intraprese, e le minime non isdegno, purchè al pubblico, che egli si studiava con ogni maniera di obbligare e colla voce, e con gli scritti, e col consiglio, e con l'opera, le apprendesse giovevoli. Conoscendo, che le leggi sono lo studio più battuto, e che fa gli uomini più immedia- Pag. 9. ta mente utili alla Repubblica, volle praticare in quelle, come avvocato, ed insegnarle, come privato lettore. Onde mossi da questo doppio benefizio ed amorevolezza, traevano frequenti alla sua casa il fiore più scelto della nobile gioventù, apparando da lui la legale dottrina. Quando egli con questo amo gli avea inescati, non gli facea più scappare dalle sue mani; ma gl'indirizzava, egl'impegnava a loro utilità in luoghi, ne' quali potessero o praticare atti di divozione, de' quali la nostra città è fioritiffima, o esercitare l'ingegno; e di queste occafioni l' Accademia sua abbondantemente ne forniva. Dicanlo i Tribunali i quali provvide di leali, ed intelligenti giureconfulti; le Scuole, l'Accademie, e gli Studj, ripieni di nobiliffimi professori; le Religioni popolate da lui di gravi, e degni suggetti ; e la città nostra, per teftimonianza del nostro gran prosatore, fra tutte le Italiche bellissima, rende colle sue diligenze più bella, e lo stato feliciffimo di quella fece viemaggiormente fiorire, e montare in istima, ed in riputazione per una copiofa raccolta d'ingegni, ch'egli sapeva così felicemente scoprire, ed allevare. Saporito nel fuo discorso, e così piccolo di statura, com'egli era, grande nell' animo, e tutto vivacità, e tutto spirito, ed alla foggia delle cafsettine d'odori, fragrante tutto, e prezioso; circospetto, e mifurato in ogni suo reggimento, ed operazione; in ogni componimento o di prosa, o di verso, o sacro, o profano, che in tutti s'esercito, di buono, e squisito gusto, e di fina purità Tofcana, che è il suolo, e il fondamento dell' eloquenza; la quale purità, e proprietà di favella, come una gioja, ch'ell'è, amava, gelosamente custodiva; per tutte queste parti serviva a tutti d'esem. pio continuo, e di ammaestramento. Faceva in oltre, il che fapete quanto sia raro a trovare, non solo della Greca, ma dell' Ebraica, e della Siriaca lingua le sue delizie come lingue

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necessarie per l'intelligenza della Scrittura; della lettura della Pag. 10. quale, come che in essa è riposta la politica divina, maestra e sorgente della buona umana, era fortemente amante. Non vi avea parte di studio, per rimoto, e recondito, ch'egli non avesse assaporato, e gustatone tanto, da poterne dare saldo, ed aggiustato giudicio. Ne solamente gli bastava il contribuire, per quanto le sue forze gliel permettevano, alle lettere, ed alla pietà insieme, co' fuoi ameni, e divoti studi, de' quali soventemente dava alla luce i saggi, ed a grandi Signori, e Principi, da quali fu protetto, e di speciofi titoli onorato, dedicavagli; ma aggiungendo agli stimoli dell'esempio i conforti delle parole, spigneva altri, che fosse peravventura troppo schivo, o temente, a dar fuori, a pubblico beneficio, ciò che avesse dalle sue studiose fatiche raccolto. Così egli da politico giusto, e legittimo fi diportava, non invidiando, non detraendo all'altrui fama, ma amando, che tutti, se possibil fosse, simili stati fossero a se medefimo, e generosamente sdegnando di voler trionfare nella scarsezza degli uomini, e nella carestia de' letterati; e di procacciarsi riputazione, e grandezza, dall'essere gli altri spregevoli, e da niente. O letterato adunque moralifsimo, e civile, schietto, candido, dabbene, senza invidia, fuori di livore, esente dal disprezzo: pestilenze tutte, che sogliono infettare tal nazione: ma letterato amatore de' Letterati, favoreggiatore, e promotore degli studj; non riprenditore, non garritore, non disdegnoso, e schifo; nè, come d'un gran letterato de' suoi tempi un nostro vecchio Cronista diffe, a guisa di filosofo malgrazioso; ma tutto rispetto, tutto officiosità, tutto zelo, tutto bontà, tutto fenno.

Ne vaglia a scemargli questo splendore di bel politico, l'essere egli stato per lo più lontano da i negozj, e da i maneggi: sebbene anche in questi fece spiccare lo zelo, e la sua bontà per la giustizia, esercitando i Magistrati della nostra città, tra' quali fu il Consolato dell' Accademia Fiorentina, quattro volte con Pag. 11. piena soddisfazione di tutti i buoni sostenuto; perciocchè l' ozio medefimo de' grandi spiriti non è senza negozio, e senza impiego, e nel loro ripofo vegliano sopra le pubbliche utilità; nè perchè Platone s'astenesse dalla cose pubbliche, non perciò fu egli meno politico, insegnando la giustizia, e la virtù praticando, e del governo, e delle leggi saviamente disputando. Non perchè il piloto sieda e sembri ozioso, non fa figura, mentre dà il cenno a i remiganti, e inaviganti indirizza a buono e profperevole cammino. Così il nostro Agostino, benchè non si mescolasse

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negli affari; benchè ancora dallo scendere in Accademia in questi ultimi tempi stesse lontano, guardando molto del tempo la propria camera; pure in quella solitudine non era mai solo, accompagnato da suoi bei penfieri, e in mezzo al coro delle Muse, e delle Grazie; essendo oltre a cid continuamente visitato dalle sue creature, da suoi allievi, da suoi beneficati (e chi non aveva da lui ricevuto benefizio?) e quivi ordinava accortissimamente ciò, che faceva di mestieri per la continuazione, e pel mantenimento della bene e saviamente da lui instituita Accademia. Sottilmente intendeva quali erano quegli studiosi, e bennati giovani, che potevano comparire nel pubblico a dar saggio di se medesimi; e la sua curiosità non era per dar materia alla maledicenza, dalla quale fu sempre alienissimo, o per pafcere la malignità di se, o d'altrui; ma tutta ordinata a conoscere gli strumenti propri ed acconci a condurre il suo politico lavoro; tutta indirizzata al benefizio comune. Non lasciava per tanto in ozio vile marcire i buoni ingegni, ne starsi ignobili, e neghittose le nobili nature, e le belle indoli, e generose, ma subito presentava loro impieghi, ed occasioni da esercitare l'intendimento, e'l cuore unitamente; quello nell'eloquenza, questo nella devozione. Le impegnava a consacrare le primizie de' loro studj all'onore di qualche Santo, o Fondatore di Religione, o di Cavalleria. Santi venerabili, che colle vostre immagini le nostre mura adornate, e che da quelle ne' vostri ritratti pendete, per bella memoria di quella Pag 12. grande anima alla nostra Accademia lasciati; fatemi voi testimonianza quanti giovani cavalieri udiste risonare le vostre lodi, e godeste, che ne riportassero da per tutto i convenevoli, emeritati applaufi. A questo fine, come genj tutelari, e domestici di questo albergo della sapienza, vi lasciò quaentro; acciocchè non solo proteggeste dall' alto col vostro favore l'Accademia, ma inspiraste ancora la pietà Fiorentina a mantenere vivo il bello uso, e se pure intermesso, a richiamarlo, di lodare le vostre fante gloriose gesta. Dei vostri ritratti vesti meglio, che di qualsivoglia prezioso parato, la nostra stanza; perchè in quegli riguardando, e specchiandosi gli Accademici, stimassero d'avere per uditori, e spettatori gli Eroi quivi rappresentati; acciocchè le lingue loro sempre, ficcome fanno, in fiori, in grazie, in leggiadrie, senza oltraggiare l'onesto, e in belle moralità le impiegaffero. Bella cosa il vedere in questi letterari congressi incominciare per tempo i giovani ad afsaporare la dolcezza della gloria; la qual' esca, e soavità gli toglie dall'ozio, che le grandi spe.

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